Parasite Eve ~ Mytochondrial Femme Fatale

Parasite Eve ~ Mytochondrial Femme Fatale

Parasite Eve

Piattaforma: Playstation
Software House: Squaresoft
Publisher: Squaresoft
Lingua: inglese (testi/audio)
Release: 8 settembre 1998
Note: Titolo mai pubblicato in Europa. In compenso fece molto successo in America grazie alla sua ambientazione newyorkese.

 

Hideaki Sena, un laureato in scienze farmaceutiche, nel 1995 scrisse un romanzo di fantascienza/horror: Parasite Eve. Narra di uno studente giapponese alle prese con il suo dottorato in Scienze farmaceutiche, Toshio, che estrae dal fegato della moglie, subito dopo il suo decesso, delle misteriose cellule con una capacità di riproduzione incredibile rispetto alle altre. Credendo così di mantenere vivo il ricordo della moglie, coltiva queste particelle, nominando questa coltura Eve. Essendo il primo lavoro di Hideaki, probabilmente nemmeno lui si sarebbe aspettato un successo tale da far nascere un adattamento cinematografico, fumettistico, e addirittura una saga videoludica. Infatti Hironobu Sakaguchi (che gli amanti di Final Fantasy e Square conoscono molto bene) si lasciò ispirare da questo libro, che tra parentesi vi consiglio caldamente, traendo un seguito dalla sua conclusione, e dando così vita al gioco di cui vi sto per parlare: Parasite Eve.

A New York, un paio di anni dopo le vicende del libro, Aya Brea, agente dell’NYPD, si sta per recare a teatro per un appuntamento galante con uno spasimante che non vorrebbe. Per sfortuna, o fortuna, dipende dai punti di vista, la protagonista dell’opera impazzisce e scatena un fenomeno di autocombustione in tutto il cast della compagnia e in quasi tutto il pubblico presente.  Aya, per motivi a lei ignoti, è l’unica che non brucia: solo lei può contrastare questa minaccia, che si fa chiamare Eve, casualmente proprio come quella coltura nata anni prima in Giappone.
Dopo questo incidente, sta a voi, nei panni della giovane poliziotta sopravvissuta, scoprire il mistero dietro questo fenomeno apparentemente sovrannaturale, che sconvolge tutta la Grande Mela.

I paramedici saranno utili solo per il barbecue.

Aya si presenta da subito come una donna fuori dal comune, specialmente per un gioco di vent’anni fa. Forte, indipendente, e coraggiosa, non aspetta l’intervento dell’uomo più forte, anzi si lancia a pistola puntata contro il male. Inoltre, come la collega Jill Valentine prima di Nemesis, non viene gettata in pasto al fanservice, ma viene presentata con un look casual che enfatizza la sua figura da eroina, e si erge nel dipartimento non per le sue grazie, ma per le sue capacità. Questi aspetti vengono ben esposti durante l’evoluzione della trama, mentre Aya affronta in completa solitudine la maledizione di essere la prescelta dai mitocondri: è l’unica in grado di sconfiggere Eve e deve fare affidamento solo su sé stessa se vuole sopravvivere. A volte le si presenteranno dei compagni nella sua missione, come il suo superiore Daniel, ma nella storia questi non faranno tanto da veri aiutanti quanto piuttosto da specchio per il suo dramma, il quale mostra chiaramente cosa si nasconda nel suo cuore. Non a caso, Aya verrà adorata tanto da diventare un personaggio iconico Squaresoft. E anche voi la adorerete.

RPG O SURVIVAL HORROR?

Chi ha qualche anno sulle spalle in più, come me, non si sorprende nel pensare che Square già negli anni ’90 osasse con generi al di fuori dei JRPG — basti ripensare al ganzissimo Rad Racer per NES. Quello che sorprende per il tempo è l’introduzione di elementi JRPG in un survival horror, in un periodo in cui Resident Evil faceva da padrone nel panorama videoludico rispetto a questa categoria. Si può pensare che Parasite Eve, di base, sia stato studiato per accaparrarsi il doppio della fetta di mercato di un gioco di ruolo, acchiappando un numero elevato di appassionati. Di fatto, il lavoro di amalgamazione di questi due mondi distinti vede da un lato le telecamere, le atmosfere, e lo splatter del famosissimo zombie game Capcom, dall’altro gli incontri casuali, le magie, le musiche, e l’Action Time Bar di un Final Fantasy VI. Tutto ciò rappresenta, a lavoro finito, un matrimonio che mette insieme pregi e difetti dei due elementi, senza aggiungerne di nuovi.

Il difetto più grande dei survival horror in terza persona come Resident Evil è stato sempre la telecamera ballerina, che è statica in diversi punti strategici della stanza in cui il vostro personaggio si trova, talvolta coprendo la visuale di un angolo dove magari è nascosto uno scrigno, e rendendo più difficili i movimenti: Parasite Eve in questo non fa eccezione. A questo problema si deve aggiungere la piaga di quasi tutti i giochi di ruolo anni ’90: gli incontri casuali. Infatti i vostri nemici, come da tradizione, sbucano all’improvviso, smorzando completamente l’atmosfera che dovrebbe fare da padrona in un gioco dell’orrore. Tutto questo risulta in una perdita a livello di gameplay, che dopo poche ore si fa sentire, specialmente in alcuni punti dove manca quel brivido di paura in più che avrebbe fatto da ciliegina sulla torta. Ma per fortuna la colonna sonora, sapientemente studiata, rende più piacevole l’intera esperienza nel complesso, che sia in battaglia o in fase di esplorazione.

A tutto ciò si aggiunge una spada di Damocle che oserei definire “Squaresoft factor”. Chi ha giocato i titoli della nota casa nipponica nell’arco di tempo tra il 1997 e il 2000 sa bene che c’è uno stile grafico che si nota subito per il suo contrasto, dato da scene in computer graphics spettacolari, fondali fotorealistici, e personaggi brutti, di quelli che proprio non si possono vedere. E Parasite Eve allo stesso tempo gode e soffre di questo elemento. Da un lato, gli sfondi rendono giustizia allo splatter, al caos, e alla devastazione dei vari scenari. Dall’altro, Aya Brea è un mucchietto di pixel che stona con la qualità dell’ambiente circostante, cosa che, più ci si focalizza, più infastidisce. Non siamo ai livelli di Final Fantasy VII, e dei suoi personaggi-cubi, ma siamo al gradino più basso dopo di lui.

Aya col trucco… e Aya senza trucco!

STERMINIO A TURNI

Tralasciando gli elementi horror, Parasite Eve resta in tutto e per tutto un JRPG, con statistiche, HP, e turni, come da canone. Ciò che cambia nella formula è la contestualizzazione del fantastico mondo dei videogiochi nella realtà. Gli equipaggiamenti a disposizione non sono più spade incantate, o corazze, ma sfollagenti, pistole e fucili ispirati al mondo reale. Per cui niente di strano se questa volta farete affidamento su M16 ed M1911, e se come protezione userete giubbotti antiproiettile. Anche le magie sono giustificate nel nostro mondo? Sì. Aya, per motivi a lei ancora ignoti, è capace di manipolare i mitocondri a suo vantaggio, migliorando così la velocità di rigenerazione delle sue cellule, e rilasciando quantità di energia abnormi che fanno da attacchi speciali. Questi adattamenti fanno si che i parametri di cui dobbiamo tener conto nelle battaglie siano tre: HP (i classici Hit Points), PE (Parasite Energy, equivalente degli MP), e Bullets, ossia le munizioni della vostra arma.

Esempio di arma da fuoco

Durante i combattimenti, Aya può muoversi liberamente nell’ambiente circostante, come in un action RPG, in attesa del momento in cui poter agire. Quando è il vostro turno, una cupola compare intorno ad Aya, che mostra rapidamente quale sia il vostro raggio d’azione con l’equipaggiamento corrente. Ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno: benché il sistema di combattimento si mostri basilare, in realtà ci sono molti fattori da considerare, che rendono il tutto molto elaborato. Quando si attacca, bisogna tenere conto di tre diversi elementi, tutti correlati al mondo delle armi: la cadenza di fuoco, la capienza del caricatore, e la modalità di sparo. La cadenza di fuoco, per chi non lo sapesse, è la quantità di proiettili che un’arma può sparare in un minuto; la modalità di sparo, invece, è intesa in Parasite Eve come il numero di pallottole che si possono consumare in un turno. Questi due fattori, combinati, determinano per quanto tempo sarete vulnerabili agli attacchi dei nemici, mentre state immobili per prendere la mira e sparare. A ciò dovete aggiungere il tempo necessario per ricaricare, se il caricatore finisce, lasciandovi per un po’ di tempo vulnerabili. E gli avversari non aspettano i vostri comodi, anzi.

Il gioco di per sé è abbastanza difficile, e vi costringe a muovervi spesso, sfruttare a pieno i vostri poteri mitocondriali, tenere conto delle munizioni, e scegliere con cura le armi da portarvi a presso. Inoltre, come se non bastasse… Lo spazio dell’inventario è limitato. Come in ogni survival horror.

Esempio di schermata di combattimento.

PIMP MY AYA

Allontanandosi dal contesto del combattimento, cosa sarebbe un gioco di ruolo senza un sistema di sviluppo del personaggio? Parasite Eve propone, per chi possiede la pazienza di comprendere le meccaniche, una vasta gamma di accessori con i quali equipaggiare le proprie armi, e dei punti bonus che si guadagnano ad ogni livello e che si possono assegnare liberamente ad Aya per potenziare le sue abilità. Sfortunatamente non potete aumentare alcuna statistica di per sé — ci sono degli schemi preimpostati per quelle — perciò l’unico modo per aumentare le chance di vittoria è buttarsi a fondo su queste possibilità, spiegate male all’inizio tramite tutorial tutto fuorché efficaci, tanto da far rimpiangere quelli di Quistis in Final Fantasy VIII. Per riassumere in modo efficace, per migliorare le capacità di Aya ci sono due possibilità: usufruire dei BP (Bonus Points, letteralmente), che si guadagnano ad ogni aumento di livello, per migliorare i parametri delle vostre attrezzature e/o la velocità della barra ATB, oppure utilizzare dei Tool. I Tool — non la band — sono letteralmente delle chiavi inglesi, con le quali smontare i vostri equipaggiamenti per montarli su altri dello stesso tipo (arma da fuoco per arma da fuoco, e corazza per corazza). Cosa ci si guadagna? L’oggetto che beneficia di questo upgrade ottiene un incremento di statistiche, oppure una nuova abilità passiva, che può essere per esempio il doppio turno, l’automedicina (Autopozione per i Final Fantasy aficionados), l’immunità a qualche stato alterato, o la variazione della modalità di fuoco.

Cito tutto questo anche allo scopo di enfatizzare qualcosa che ho ribadito più volte: Parasite Eve non è un gioco facile. Non ti tiene la mano, non ti aiuta, ma ti lascia diversi strumenti a disposizione per trionfare, di cui si deve tenere conto se si decide di giocare questo titolo. Richiede volontà, pazienza, e spirito d’apprendimento da parte del giocatore. E anche accettare paradossi come lo scoprire che conviene equipaggiare una M1911  piuttosto che un M16A1!

 

Conclusione

Parasite Eve è la degna trasposizione videoludica del capolavoro di Hideaki Sena, e uno dei primi mix tra generi contrastanti tra loro. Non è un gioco perfetto, ci sono diversi difetti, e non è invecchiato bene, ma resta sempre un’esperienza godibile e capace di regalarvi più di una ventina di ore di paura e divertimento. Se riuscite a sopportare lo splatter, e gli anni che si porta addosso, questo titolo è un ottimo acquisto per voi, e una piccola perla che vi farà vivere un’esperienza fuori dall’ordinario videoludico.

Un commento

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