Live a Live
Piattaforma: Nintendo Switch
Software House: Square Enix
Publisher: Square Enix, Nintendo
Lingua: testi in italiano, doppiaggio in giapponese e inglese
Release: 22 Luglio 2022
Avete mai sentito parlare di Cloud Atlas, un libro di fantascienza di David Mitchell, o del suo adattamento cinematografico a opera delle sorelle Wachowski? Vi posso dire che, quando vidi il film al cinema una decina di anni fa, me ne innamorai. La pellicola, così come il romanzo da cui è tratto, intreccia sei storie ambientate in epoche diverse, riguardanti personaggi che non hanno nessun apparente legame.
È a questo film che ho pensato la prima volta che, qualche anno fa, decisi di documentarmi su Live a Live, un titolo per Super Famicon che non avevo mai sentito nominare. Uscito nel 1994 e inedito al di fuori del Giappone, questo titolo sembrava avere premesse molto simili: otto personaggi e otto storie, tutte ambientate in un tempo e un luogo differenti. Il titolo colpì subito il mio interesse e mi ripromisi di recuperarlo quando mi sarebbe stato possibile. Di certo, però, non mi sarei mai aspettata di trovarmelo davanti durante un Direct Nintendo, per di più in una veste completamente nuova, con la bellissima grafica in HD-2D del team Asano e le musiche completamente riorchestrate. Inutile dire che difficilmente me lo sarei lasciata scappare.
Select a Live
Come già detto, Live a Live è composto da otto storie di durata variabile tra l’una e le cinque ore che si svolgono in momenti e luoghi diversi. Ogni capitolo è molto diverso dagli altri e le ispirazioni sono le più disparate: dai film di kaiju ai Flintstones, dai videogiochi picchiaduro agli spaghetti western. Ogni storia, ad eccezione di una, è accessibile fin da subito e rigiocabile in qualsiasi momento. Potremo scegliere di vivere la vita di:
- Pogo, un piccolo uomo delle caverne che vive nella preistoria, in un’avventura narrata senza l’utilizzo di parole
- Sundown the Kid, un pistolero vagabondo che decide di salvare un paesino del vecchio west da una gang di banditi
- Oboromaru, uno shinobi incaricato di infiltrarsi nella fortezza di un signore feudale dell’epoca Edo giapponese per portare a compimento una missione segreta
- lo shifu Cuore di Terra, un vecchio maestro di kung fu nella Cina Imperiale alla ricerca di discepoli a cui tramandare la sua arte
- Masaru Takahara, un giovane praticante di arti marziali che, al giorno d’oggi, si trova a sfidare numerosi avversari per imparare le loro mosse speciali
- Akira, un orfano di un futuro poco lontano con poteri da esper invischiato in misteriose faccende riguardanti bande di malviventi, inquietanti esperimenti e mecha
- Cubo, un robottino creato per essere membro della ciurma di una nave spaziale contenente un carico molto particolare in un futuro lontano
Dopo aver concluso queste storie, sarà possibile accedere alla storia ambientata in un Medioevo fantasy non molto diverso da quello dei primi Final Fantasy o Dragon Quest, nella quale, nei panni dell’eroe Oersted, avremo lo scopo di liberare la principessa dal malvagio signore delle tenebre… anche se qualcosa di inaspettato lo attende.
Non tutte le storie hanno lo stesso approfondimento, certo: alcune durano molto poco, altre hanno toni piuttosto leggeri, ma è proprio questa grande varietà di modalità di narrazioni che rendono il titolo così particolare.
Explore a Live
Una delle cose che mi piace maggiormente del concetto dietro Live a Live è che il gioco si può permettere di mettere insieme tantissime idee di gameplay interessanti.
Ogni capitolo segue una struttura diversa, non solo narrativa, come abbiamo già accennato, ma anche di gameplay. Il capitolo di Masaru, per esempio, si svolge completamente come una sorta di boss rush: niente esplorazione, solo arti marziali. Al contrario, il capitolo di Cubo gioca molto sull’esplorazione della nave spaziale e sulla tensione che si viene a creare, ma di combattimenti, ad eccezione di quelli all’interno del cabinato del minigioco Captain Square, non c’è traccia. In mezzo a questi due estremi ci sono anche capitoli più classici, come quello di Pogo in cui avremo addirittura la possibilità di accedere a un primordiale sistema di crafting.
Anche in questo caso torna il concetto di “varietà vs approfondimento”: se ogni volta le carte in tavola vengono cambiate, significa anche che probabilmente ogni meccanica non avrà modo di essere esplorata a fondo come lo sarebbe in un titolo che ne fa uso dall’inizio del gioco alla fine. La grande varietà, però, permette a queste meccaniche di non diventare mai stantie o noiose.
Inoltre, nonostante una run di Live a Live richieda tra le venti e le trenta ore di gioco (che sicuramente per un JRPG non sono tantissime), all’interno dei singoli scenari sono presenti alcune scelte che li rendono estremamente rigiocabili: impostare diversi tipi di trappola nello scenario del west, allenare in modo diverso gli allievi in quello della Cina Imperiale, combattere gli avversari di Masaru imparando o meno tutte le tecniche… Sotto questo punto di vista credo che lo scenario di Oboromaru sia il mio preferito: è possibile infiltrarsi in molti modi diversi, scegliendo se risparmiare tutti gli abitanti della fortezza o, al contrario, compiere una strage uccidendoli: entrambi i metodi sono perfettamente attuabili e hanno i loro pro e contro. La brevità di ogni scenario risulta addirittura una fortuna, in ottica della rigiocabilità.
Fight a Live
Una cosa che non cambia, invece, tra uno scenario e l’altro è il sistema di combattimento. Si tratta di un battle system a turni su griglia, in cui ogni partecipante alla battaglia, alleato o nemico, occupa una o più caselle (in genere, più un nemico è potente, più caselle occupa).
Gli attacchi possono fare danno, infliggere status alterati, ma anche modificare il terreno in modo che faccia danni elementali a chi lo calpesta o addirittura modificare la posizione di un nemico: inutile dire che imparare a posizionarsi correttamente sulla griglia è fondamentale! La turnazione è gestita da una barra posizionata sotto gli HP di ogni partecipante alla battaglia che si riempie con il passare del tempo, similmente a come avviene nei battle system dei Final Fantasy che fanno utilizzo di ATB. Il tempo impiegato dal riempimento di questa barra dipende sia dalla velocità del personaggio che dall’ultima azione che ha compiuto: un’azione di movimento su una casella vicina ci permetterà di avere accesso al turno successivo in brevissimo tempo, mentre un potente attacco o una cura potrebbero dare molte più chance all’avversario di attaccare a sua volta nel frattempo.
Si tratta di un sistema piuttosto variegato. Sebbene la difficoltà abbia alcuni spike (soprattutto nell’ultimo capitolo), le battaglie risultano piuttosto divertenti e strategiche.
Look a Live
In origine, i design di ogni scenario erano stati creati dalla penna di un mangaka diverso. Tra tutti, specialmente nel nostro Paese, spicca sicuramente il nome di Gosho Aoyama, creatore di Detective Conan, nonché autore dello scenario dell’epoca Edo.
Per gli artwork promozionali del remake, invece, si è preferito unificare lo stile, affidando i nuovi artwork all’ormai immancabile Naoki Ikushima, che già conosciamo per il suo lavoro negli altri due titoli in HD-2D, ossia Octopath Traveler e Triangle Strategy, ma anche Bravely Default 2. C’è da dire che, però, in game gli artwork non si vedono mai: in quel caso a mostrarsi sono i pixel. L’originale Live a Live per Super Famicon non credo verrebbe mai inserito in una lista dei giochi con la pixel più bella della console su cui è uscito, ma il remake è, senza girarci troppo attorno, una meraviglia per gli occhi. Gli ambienti sono pieni di dettagli e ricreati in 3D, ma non stonano affatto con le meravigliose sprite dei personaggi, che mostrano ancora meglio le proprie emozioni. Il motore grafico permette l’inserimento di scene che differiscono nell’esecuzione da quelle originali, ma che, proprio per questo, acquistano una dinamicità e spettacolarità che un gioco dell’era 16-bit non sarebbe mai riuscito a raggiungere. Lo stile HD-2D è semplicemente perfetto per questo tipo di titoli nati su SNES e spero che Square Enix lo riproponga per i remake di altre vecchie glorie, oltre al già annunciato Dragon Quest III.
Hear a Live
A differenza dell’originale, il remake è completamente doppiato, sia in giapponese che in inglese.
Per quanto riguarda il doppiaggio inglese, si trattano per lo più di voci emergenti: questo non vuol dire per forza che sia da buttare, anzi, il doppiaggio inglese è molto solido. In scenari come quello del selvaggio West, in cui viene fatto uso di forti accenti, ho apprezzato il fatto che aiutasse l’immedesimazione.
Anche il doppiaggio giapponese è molto ben fatto e, in questo caso, vanta alcuni nomi piuttosto noti dell’industria. È simpatico notare come Tomokazu Sugita (Yusuke di Persona 5, Alvin di Tales of Xillia, Chrom di Fire Emblem Awakening e grande fan dell’originale Live a Live) interpreti un personaggio secondario per ogni scenario.
E se le voci sono state aggiunte solo con questa versione, la colonna sonora è rimasta la stessa. Quella di Live a Live è la prima colonna sonora di Yoko Shimomura in Square, prima di fare il botto con titoli del calibro di Parasite Eve, Super Mario RPG e, ovviamente, Kingdom Hearts (anche se aveva già lavorato su Street Fighter II, che comunque non è poco). La colonna sonora originale era già allora ottima e dimostrava la grandissima versatilità della compositrice. La musica è usata in modo molto intelligente: nel capitolo del futuro lontano, per esempio, l’esplorazione non è accompagnata da alcuna traccia per mantenere la tensione e infondere inquietudine; nel saloon in cui suonano i mariachi, invece, se uno dei tre se ne va, la loro performance rimane senza uno strumento. Inoltre, nonostante il gioco sia rimasto a lungo inedito in Occidente, la sua colonna sonora è servita da ispirazione a Toby Fox nel suo Undertale, con la famosa traccia Megalovania che rende omaggio a Megalomania, la boss theme di Live a Live.
Rimasterizzazione e riarrangiamento, però, riescono a valorizzare ancora di più queste bellissime composizioni. Ogni scenario fa uso di strumenti diversi: il classico fischiettio degli spaghetti western, le percussioni tribali per la preistoria, o addirittura opening in stile Mazinga Z. Per la traccia “Go! Go! Buriki King!” è stato addirittura deciso di includere un testo, cantato da Hironobu Kageyama, che sicuramente avrete già sentito in “Cha-La, Head-Cha-La” storica opening di Dragon Ball Z.