The Last Remnant
Piattaforma: Steam
Software House: Square Enix
Publisher: Square Enix
Lingua: Italiano (testi), Giapponese/Inglese (audio)
Release: 9 Aprile 2009
Note: Rilasciato anche su XBox360 (20 Novembre 2008)
Un RPG davvero bizzarro
Riguardo The Last Remnant se ne sentono di tutti i colori. Questo titolo del 2008, uscito originariamente su Xbox 360 e portato successivamente su Steam, non è particolarmente conosciuto, soprattutto se consideriamo che a svilupparlo è stata la celeberrima Square Enix. Basti pensare che, nonostante fosse in programma anche una versione PlayStation 3, questa fu cancellata a causa delle poche vendite sulla piattaforma di casa Microsoft. Tuttavia, tra le persone che hanno provato almeno una volta The Last Remnant, le opinioni risultano davvero molto discordanti: c’è a chi è piaciuto molto e c’è chi lo disprezza aspramente, c’è chi lo ha provato ma non lo ha capito, chi si è perso nel bel mezzo delle sue infinite quest secondarie e chi, come me, prova per questo gioco tutte queste cose insieme. Una sola cosa è certa: si tratta di un RPG unico nel suo genere.
Alla ricerca della sorella
In questa avventura entriamo i panni di Rush Sykes, giovane Mihra (così sono chiamati gli umani in questa ambientazione) alla ricerca della sorella Irina, rapita davanti ai suoi occhi da alcuni misteriosi individui per motivi a lui ignoti. Durante il suo viaggio, Rush si ritrova a fare la conoscenza di David Nassau, marchese della città di Athlum. Dave, come da soprannome che il protagonista decide di affibbiare al regnante appena dopo essersi presentato, lo accoglie alla sua corte e da questo avvenimento in poi i due due fanno affidamento l’uno sull’altro: il loro fine, tuttavia, non è solo quello di portare in salvo Irina dagli strani uomini che l’hanno portata via, ma anche di stabilire l’indipendenza di Athlum dalla vicina città di Celapaleis.
Così inizia il viaggio di Rush tra le diverse città autogovernate da cui è formato il mondo di gioco. Ogni città è protetta dal suo Remnant, un potentissimo artefatto appartenente ad epoche lontane, le cui tecnologie sono andate perdute. In quanto armi altamente distruttive, i regnanti possono far uso dei Remnant anche durante le guerre.
Questa ambientazione, a metà tra il medievale e lo steampunk, mi ha ricordato abbastanza quella della Ivalice di Final Fantasy XII, grazie anche alla nutrita varietà di razze senzienti diverse. Oltre ai Mihra, ci sono i Sovani, orgogliose creature dal viso felino con sei braccia, gli Yama, grandi, grossi e dall’aspetto anfibio, e i Qsiti, dalla parlata strana e simili a lucertole.
Niente conigliette Viera, però, mi spiace.
Sebbene la storia in molti dei suoi punti risulti non proprio innovativa, personalmente l’ho gradita abbastanza, specialmente nelle ultimissime fasi e nel finale che, a mio parere, risulta degno di memoria. Alcuni in alcuni punti la trama riesce comunque a prendere di sorpresa, nonostante la classicità dell’impostazione.
Indicatori, indicatori ovunque
Il gameplay di questo titolo è letteralmente impossibile da descrivere in poche parole.
I personaggi vengono divisi in “Unioni”, ossia gruppi di personaggi che si muovono insieme sul campo. Ogni Unione è formata da un massimo di cinque unità scelte dal giocatore tra quelle disponibili. Durante la fase di battaglia ad ognuno di questi gruppi deve essere dato un ordine e i personaggi che ne fanno parte si muovono di conseguenza. Ci sono ordini di ogni tipo: si può puntare su un approccio più aggressivo, piuttosto che uno difensivo, oppure curare, lanciare buff, debuff, stati alterati, alzare il morale delle truppe e così via. Tutti questi ordini hanno un target singolo (dove con singolo si intende singola unione, nemica o alleata che sia), ma ne esistono alcuni molto particolari: le abilità speciali. Queste sono diverse per ogni leader e non solo possono avere target singolo o ad area, ma possono anche dare la possibilità di evocare nuovi alleati. Inutile dire che usare le abilità speciali può ribaltare completamente le sorti di ogni battaglia e per questo anche i nemici ne fanno un grande uso. Il problema principale di questo sistema è il fatto che gli ordini non sono fissi, ma vengono stabiliti dal gioco stesso in base alla composizione dell’Unione, la sua posizione, i suoi HP, morale, stati alterati e chi più ne ha più ne metta, in modo da risultare quasi casuali. Capita anche, purtroppo, che in un momento molto concitato, magari contro un boss particolarmente tosto contro cui ogni singolo punto vita gioca un ruolo fondamentale, manchino gli ordini fondamentali come quelli di cura. Ed è in casi come questi che al povero giocatore non resta che pregare e sperare di vedere i nemici mancare ogni colpo, ma molto più spesso ciò che sentirà sarà la musichetta del Game Over e, siccome le battaglie tendono ad essere ben più lunghe di una decina di minuti, tutto ciò può risultare abbastanza doloroso.
L’interfaccia di gioco è molto articolata e, soprattutto durante le prime ore di gioco, non si sa bene dove volgere lo sguardo. Sembra tutto un po’ caotico e, sebbene alcuni elementi di gameplay ricevano un piccolo tutorial, non tutto è spiegato come dovrebbe.
Altro punto che rende il gioco poco friendly è il fatto di non poter controllare direttamente lo sviluppo e l’equipaggiamento dei personaggi che non sono Rush. Tutte le altre unità disponibili si limitano a chiedere consigli su quale tipo di abilità imparare oppure a reclamare determinati pezzi di equipaggiamento o loot per sé al fine di migliorare le proprie statistiche, ma nulla di più.
Follow my lead!
Le unità disponibili sono davvero tante, tra l’altro. Sono divise in due categorie: i leader e le unità semplici. In linea di massima, i leader sono coloro che, come dice il nome, possono essere messi a capo di una Unione. Come già anticipato, ogni leader dà accesso a una o più abilità speciali che possono avere svariati effetti e, spesso, possono determinare il confine tra la vittoria e la sconfitta. Per esempio David, in occasioni diverse, può utilizzare il remnant Gae Bolg oppure il potente attacco Ex Machina, ma solo se impostato come leader. Un capo, però, non si misura solo dalle sue abilità particolari: proprio per questo è importantissimo fare in modo che durante la battaglia il leader non perda i sensi. In caso contrario l’Unione, senza una guida, non sarà più controllabile.
In generale, è possibile impostare come leader i personaggi principali della storia o quelli reclutabili in missioni secondarie particolari.
Avendo una così grande quantità di unità, come prevedibile, la caratterizzazione risulta un po’ sbilanciata: hanno una caratterizzazione, infatti, solo i Leader e anche in questi casi non sempre risulta molto approfondita (specialmente se si tratta di Leader opzionali che hanno modo di dare sfoggio di sé solo durante le relative missioni secondarie). Personalmente, però, ho apprezzato la caratterizzazione di Rush (nel suo caso in particolare sul finale), David, Emma e Irina, nonostante in generale nessun personaggio risulti davvero indimenticabile.
Per quanto riguarda la realizzazione tecnica, ci troviamo anche in questo caso davanti a un titolo non proprio perfetto. In alcuni punti il mantello svolazzante di Rush ha delle collisioni con il mondo di gioco decisamente poco credibili e capita a volte che le texture vengano caricate un po’ troppo lentamente. I filmati in CGI, d’altro canto, sono davvero meravigliosi e ben fatti. Altra cosa che mi ha colpito positivamente è il fatto che, durante alcune scene, il labiale dei personaggi segua perfettamente le parole che pronunciano, dando l’impressione di star guardando davvero una persona che parla inglese (a differenza di quanto avviene dalla maggior parte dei titoli provenienti dal Sol Levante): non so se sia stato merito del team di sviluppo che ha modificato le scene per la localizzazione occidentale o se sia stato viceversa il doppiaggio a essere studiato talmente bene da adattarsi in modo perfetto al labiale giapponese. In ogni caso, è una cosa che non vedo spesso e che mi ha lasciato un’impressione davvero positiva.
Parlando proprio di doppiaggio, ho trovato le voci di tutti i personaggi abbastanza azzeccate. Durante e dopo le battaglie i personaggi si dilettano in battle quotes che in certi casi risultano parecchio divertenti (esempio calzante sono gli strani versi del generale Pagus). Azzeccatissima anche la colonna sonora di Tsuyoshi Sekito e Yasuhiro Yamanaka, che alterna pezzi mistici e misteriosi a battle theme pieni di energia: sono due compositori che non si sentono molto spesso e devo ammettere che in questo titolo hanno davvero dato prova di saperci fare, a mio parere. Una nota particolarmente positiva per la canzone Journey’s End, interpretata da Donna Burke, che, oltre ad essere bellissima, cattura perfettamente il mood del momento in cui è inserita.
Conclusione
Onestamente non lo so. Come già detto, è un gioco abbastanza particolare, che può risultare indigesto, specialmente per quanto concerne il particolarissimo gameplay. Tuttavia la storia si segue volentieri e nonostante ci sia qualche problemino col motore grafico ogni tanto, risulta davvero ben fatto sotto il punto di vista del comparto audio. In generale credo sia uno di quei titoli che fila bene se giocato in piccole dosi, un po’ per volta, con calma.
Una cosa che però ho apprezzato tanto, al di là di come il gioco sia risultato alla fine, è che Square ci abbia provato. Giocando ho davvero avuto l’impressione che con questo gioco il team di sviluppo volesse davvero osare, provando a creare una nuova IP utilizzando idee innovative, senza andare ad attingere da quelli che sono i suoi brand più conosciuti. E questo, secondo me, è solo un bene, qualcosa che dovrebbe essere fatto molto più spesso.