FINAL FANTASY VII REMAKE
Piattaforma: PlayStation 4
Software House: Square-Enix
Publisher: Square-Enix
Lingua: italiano (testi); inglese/giapponese (audio)
Release: 10 aprile 2020
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A differenza della maggior parte dei titoli che trattiamo sul nostro sito, Final Fantasy VII Remake non ha bisogno di presentazioni. Final Fantasy è una delle poche serie JRPG a godere di grande notorietà anche al di fuori del Giappone, tanto da essere diventata per molti sinonimo stesso del genere. E a far sì che il franchise raggiungesse la fama internazionale fu proprio, nel lontano 1997, il suo settimo capitolo: complice un aggressivo marketing da parte di Sony, Final Fantasy VII stregò il pubblico occidentale con la sua grafica rivoluzionaria, la sua trama dai toni maturi e i suoi indimenticabili colpi di scena. Non c’è perciò da stupirsi del fatto che il suo remake, richiesto a gran voce dai fan per oltre un decennio e svelato nel corso di un E3 2015 ancora indimenticabile, fosse tra i release più attesi non solo di quest’anno, ma di tutta la generazione.
La premessa che voglio fare quindi non riguarda il gioco, quanto piuttosto il mio rapporto con esso. Ritengo infatti che l’apprezzamento di un videogioco spesso dipenda strettamente dalle aspettative che si nutrono al riguardo. Esiste indubbiamente una fetta di giocatori che si approccia all’universo di Final Fantasy VII per la prima volta con questo Remake; c’è chi ne conosce già in parte i personaggi da spin-off o crossover vari e chi, invece, ha recuperato l’originale in tempi recenti, apprezzandolo senza però subirne il fascino rivoluzionario che aveva all’epoca della sua uscita. E poi ci sono tutti quelli come me, che sono cresciuti con il mito di Final Fantasy VII e con il peso della sua eredità si approcciano al Remake…
C’era una volta un JRPG…
Come ho avuto modo di raccontare nel corso delle nostre live Twitch, giocai per la prima volta a Final Fantasy VII a otto anni. Cosa spinse me e mio padre ad acquistare a scatola chiusa proprio quel gioco dalla copertina minimalista non saprei dirlo: ciò che so per certo è che, non appena inserito il primo dei tre dischi inclusi nella confezione, iniziò per me un’avventura senza eguali. Progredire nella storia, complice il mio inglese da terza elementare, era tutt’altro che facile; eppure, il fatto di dover cercare una parola su due su un dizionario datatissimo non mi impedì in alcun modo di innamorarmi completamente ed irrimediabilmente del mondo, della trama e soprattutto dei personaggi di Final Fantasy VII. Dove non arrivava il mio inglese, suppliva la mia fantasia: tra uno scontro casuale e l’altro, la mia immaginazione tesseva storie aggiuntive su Cloud, Aerith e il resto del cast. Se restavo bloccata in qualche punto del gioco, semplicemente lo ricominciavo da capo: per anni vissi immersa nel mondo di Final Fantasy VII. Nacque in me il desiderio di trovare altri videogiochi che potessero rapirmi allo stesso modo, il che mi portò a cercare altri capitoli della serie (il X fu il mio secondo amore, in ordine cronologico) e poi ad appassionarmi al genere JRPG in generale. L’effetto farfalla generato dal mio incontro con Final Fantasy VII è incommensurabile: ha fatto sì che iniziassi a usare internet, che cercassi altri appassionati con cui interagire, che incontrassi alcuni dei miei amici più cari, che scegliessi il videogioco come oggetto di studi accademici. Non è un eufemismo dire che, sotto diversi aspetti, Final Fantasy VII ha plasmato la persona che sono oggi. Ed indubbiamente, se non l’avessi comprato quel giorno di tanti anni fa, oggi non sarei qui a scrivere sul Pick a Quest.
A questo punto, credo sia chiaro quale valore sentimentale abbia per me questo titolo — un valore sentimentale che penso di condividere con molti di voi. Inutile dire che, nel corso della già citata conferenza E3 2015 in cui venne svelato il Remake, rischiai di avere un attacco cardiaco e passai le successive quarantotto ore chiedendomi se non fosse stato tutto frutto di una fantasiosa allucinazione. Da lì in poi, ho accolto ogni nuovo trailer, ogni nuova immagine, con esplosioni di hype. Però — c’è un però. Quella stessa fase di incontenibile entusiasmo all’idea di rivedere i miei personaggi del cuore in veste moderna l’avevo già vissuta una decina di anni prima, ai tempi della Compilation, termine ombrello sotto cui sono raccolti diversi progetti spin-off, sequel e prequel incentrati sul mondo e il cast di Final Fantasy VII. Un entusiasmo che, una volta messa mano ai diversi titoli, si era trasformato nel migliore dei casi in indifferenza e, nel peggiore, in delusione pura.
Se anche Final Fantasy VII avesse tradito le mie aspettative, non sarebbe stata dunque la prima volta. Nell’avviare per la prima volta il gioco, ero preparata al peggio, ma speravo nel meglio. E il meglio ho avuto: la miglior esperienza videoludica che abbia vissuto da tanti anni a questa parte e il miglior Final Fantasy che Square-Enix ci abbia regalato nel corso dell’ultimo ventennio.
Tornando a Midgar, tornando a casa
Non serve che ci giri attorno: Final Fantasy VII Remake è un successo, un titolo che non solo ha soddisfatto le grandissime aspettative che nutrivo nei suoi confronti, ma le ha addirittura superate. Per certi versi, mi viene ancora difficile credere che il gioco, così come l’ho giocato, sia reale, e non frutto dei miei sogni più sfrenati.
La storia di Cloud comincia proprio come la ricordavamo: con la sua prima missione da mercenario per l’AVALANCHE ai danni della Shinra. Per i nuovi giocatori, è un inizio in medias res davvero intrigante; per noi fan di vecchia data, è come tornare a casa. La musica, la regia, l’atmosfera: quello che stiamo giocando è il Final Fantasy VII che conosciamo e amiamo, soltanto elevato all’ennesima potenza da una grafica stratosferica e da un gameplay fluido e dinamico. Ma è dopo l’esplosione del reattore, quando mettiamo piede per le strade di Midgar, che ci rendiamo davvero conto di quello che abbiamo tra le mani: la piena realizzazione di un gioco che nel 1997 ci era sembrato un capolavoro, ma in realtà celava in sé ancora tanto potenziale inespresso.
Si capisce presto perché Kitase, Nomura e il loro team abbiano deciso di ambientare questo primo capitolo del progetto interamente a Midgar: questa metropoli tecnologica sospesa nel cielo, divisa tra lusso e squallore, è una delle ambientazioni più suggestive che si siano mai viste. Peccato che le limitazioni tecnologiche del 1997 rendessero talora difficile visualizzarne la geografia, smorzandone notevolmente l’impatto.
La Midgar del 2020 è un capolavoro di estetica sci-fi. La prima volta che sono arrivata ai bassifondi del Settore 7, ho perso minuti interi a guardarmi intorno e ammirare quel cielo di luci e metallo che è il “Piatto”. Ciò che colpisce non è solo l’aspetto visivo: la città è viva come poche altre che abbia mai incontrato in un videogioco. Strade e quartieri pullulano di cittadini, ognuno dei quali perso nelle proprie conversazioni: passandovi accanto, possiamo cogliere stralci delle loro vite, misurare quale sia l’effetto delle nostre azioni sull’opinione pubblica, scoprire interessanti retroscena sul mondo di gioco.
Midgar, da sola, si meritava questo remake. E Midgar, da sola, ne vale l’acquisto.
Tra fedeltà e originalità
Ma solo Midgar, direte voi? Nel gioco originale saranno state sì e no dieci ore, a prendersela con calma. Gli stessi sviluppatori, dopo aver rigiocato l’originale in vista del Remake, si sono detti stupiti della brevità di questa porzione di storia, che ricordavano decisamente più lunga. E forse la ricordavano più corposa proprio perché di idee da sviluppare al riguardo ce n’erano ancora tante.
In questo diario vorrei sfatare molti dei preconcetti errati su Final Fantasy VII Remake ancora in circolazione. Uno di questi riguarda proprio la divisione in episodi, messa in chiaro da Square-Enix sin dagli albori del progetto e tuttavia ancora ampiamente fraintesa da una fetta consistente della fanbase. Il pensiero di molti, infatti, col il termine “episodi” vola immediatamente al formato dei giochi in stile Telltale o Life is Strange. Se avessi un centesimo per ogni volta che ho letto il commento “io non lo compro e aspetto la versione completa”, probabilmente ora sarei milionaria.
Ve lo dico senza mezzi termini: preparatevi ad aspettare in eterno. Non ci sarà alcuna “versione completa” perché Final Fantasy VII Remake è già di per sé un gioco completo (che, peraltro, pesa la bellezza di 100GB…). È il primo capitolo di un progetto più ampio, che “reimmagina” (citando testualmente gli sviluppatori) la storia di Final Fantasy VII, arricchendola di novità e dettagli aggiuntivi.
È del tutto insensato, perciò, prendere come termine di paragone il minutaggio della parte a Midgar nel gioco originale, perché questo gioco dura quattro volte tanto, proprio come promesso da Square. Il Final Fantasy VII del 1997 offre lo scheletro principale su cui si sviluppa la storia del Remake: in parole povere, si va sempre da A a B, e da B a C, ma nel mezzo ci sono molte novità che ampliano notevolmente la trama e danno ulteriore spessore ai personaggi. Non si ha mai l’idea che queste aggiunte siano messe lì soltanto per allungare il brodo e diluire la storia; al contrario, l’impressione è quella di trovarsi davanti ad una narrativa estesa che esalta le potenzialità dell’originale.
Dopo oltre vent’anni, lo storytelling all’interno dei videogiochi è di certo cambiato: laddove nel 1997 tutto doveva essere espresso nei box di dialogo blu, il Remake può fare affidamento sull’espressività dei modelli dei personaggi, sulla regia, sul doppiaggio. Silenzi ed espressioni pesano quanto le battute. Eppure, i dialoghi iconici sono tutti lì, riscritti con una fedeltà impressionante.
Nessuna delle aggiunte intacca negativamente la caratterizzazione dei personaggi. Al contrario, in questo Remake gran parte del cast ha occasione di brillare ben più di quanto non facesse nella stessa parte del gioco originale. Dai trailer, ci aspettavamo tutti che i membri dell’Avalanche ricevessero finalmente un approfondimento che gli era sempre mancato, ed è stato così; tuttavia, non avrei mai immaginato che questo gioco mi avrebbe portata ad apprezzare di più l’intero cast, compresi personaggi principali che non erano mai stati tra i miei preferiti. Tifa, per esempio, è un personaggio che, a mio avviso, brillava nella seconda metà di Final Fantasy VII piuttosto che nella prima; similmente Barret risultava spesso monodimensionale nella sua crociata contro la Shinra, complice il fatto di scoprirne le motivazioni solo molto più avanti. Ebbene, entrambi in questo Remake ricevono un approfondimento che, pur senza svelarne anzitempo il background, li rende assai più sfaccettati e aiuta il giocatore ad empatizzare con loro. Lo stesso Cloud appare qui molto più umano e profondo di quanto non accadesse nella prima parte del gioco originale.
Sono inoltre stata particolarmente felice di ritrovare in questo Remake il mio personaggio preferito così come lo ricordavo da Final Fantasy VII: Aerith, la cui caratterizzazione ho sempre trovato ampiamente appiattita se non addirittura fraintesa nei vari spin-off, viene ritratta qui in tutta la sua complessità.
Di questo storytelling più maturo e al passo coi tempi trae giovamento anche la storia, tanto che sono addirittura arrivata al punto di preferire l’esecuzione di alcuni momenti chiave della storia — come per esempio lo Shinra Building — in questa nuova versione piuttosto che nell’originale.
Quella che si vive in Final Fantasy VII Remake è la stessa storia che mi aveva stregata da bambina, e allo stesso modo è riuscita a rapirmi: non esagero quando dico che, a partire dal 10 aprile, il gioco ha occupato di prepotenza la maggior parte dei miei pensieri, e sono arrivata al punto di sognarlo la notte, per quanto intense erano le emozioni che mi lasciava. Eppure, Final Fantasy VII Remake è allo stesso tempo una storia nuova: pur ripercorrendo fedelmente gli eventi dell’originale, ci sono tante piccole differenze, aggiunte e novità da incuriosire e tenere sulle spine anche i giocatori di vecchia data come me. Il fatto che Square-Enix sia riuscita a dar vita un Remake fedele e innovativo al tempo stesso è un traguardo che non pensavo si potesse raggiungere.
È proprio nel ricreare i momenti più iconici che, a mio avviso, Final Fantasy VII Remake raggiunge il suo acme. L’attenzione che gli sviluppatori mostrano nei confronti dell’originale è smisurata: dalle musiche ai dialoghi, dai minigiochi arrivando persino alla posizione degli NPC più iconici, nessun dettaglio viene trascurato. Vi ricordate, per esempio, del venditore di materia al Wall Market sdraiato sul bancone? Lo troverete ancora sdraiato sul bancone. Questa cura maniacale nel ricostruire l’originale permette di accogliere con serenità anche i cambiamenti e le novità che caratterizzano questo Remake come un prodotto diverso.
Gran parte del mio malcontento nei confronti della Compilation of Final Fantasy VII non derivava tanto dalle novità, quanto piuttosto dal fatto che, giocando a un Crisis Core o guardando un Advent Children, non vi ritrovavo i personaggi e le atmosfere originali; mi sembrava, sostanzialmente, di trovarmi di fronte a un prodotto che di Final Fantasy VII portava soltanto il titolo. Final Fantasy VII Remake, pur conquistandosi una propria identità che lo distingue dal titolo del 1997, ne incarna al cento percento lo spirito. Motivo per cui, anche di fronte a un finale che nella sua esecuzione non mi ha convinta appieno, resto comunque piuttosto fiduciosa per il futuro di questo progetto.
Strategia e dinamismo
Se c’è un elemento che ha generato diverse polemiche negli anni che hanno preceduto il rilascio di Final Fantasy VII Remake è il combat system. Ed eccomi qui a smontare un altro preconcetto assai diffuso in poche parole: no, la svolta action non è la morte dell’ATB. Anche perché l’ATB è sempre lì, solo che si carica attaccando i nemici anziché stando fermi impalati come una volta. I segmenti di ATB possono poi essere spesi per usare abilità, magie e oggetti dal menù. Si può scegliere un approccio più immediato, assegnando delle shortcut ai comandi più frequenti, oppure prendersi il tempo di ragionare navigando nella schermata di selezione. Si controlla un solo personaggio alla volta, ma è possibile sia impartire ordini agli alleati, sia cambiare leader nel giro di una frazione di secondo.
No, non è la morte dell’ATB. È l’evoluzione dell’ATB che stavamo aspettando dai tempi della scorsa generazione. Final Fantasy VII Remake impara dagli errori dei suoi predecessori, ne recupera alcune idee interessanti, come la crisi di Final Fantasy XIII, e ci regala finalmente un combat system impeccabile. Cari reduci di Final Fantasy XV, tirate un sospiro di sollievo: sono finiti i tempi in cui bastava premere ciecamente quadrato per vedere la fine di ogni scontro. Qui un utilizzo strategico dell’ATB è essenziale per sopravvivere a partire dal primo boss: anzi, persino alcuni nemici comuni possono causare problemi, se non si gioca in modo ragionato.
Altrettanto importante è la pianificazione al di fuori del campo di battaglia: fa il suo ritorno il tradizionale sistema delle materia con tutte le sue possibilità di sviluppo dei personaggi. Anzi, la scelta a livello di personalizzazione è così vasta da spingerci a rivedere più e più volte il nostro equipaggiamento a seconda delle situazioni da affrontare. Un ulteriore livello di profondità è dato dalle armi: ognuna di esse dà accesso a diverse abilità passive, sbloccabili attraverso un sistema simil Crystarium di Final Fantasy XIII, e a un’abilità attiva, che può invece essere appresa permanentemente tramite il suo utilizzo in battaglia.
Ogni personaggio ha un gameplay diverso e peculiare: se Cloud con la sua Buster Sword può alternare tra la mobilità dell’assetto leggero e la potenza di quello pesante, Tifa è rapida e letale; e mentre la mitragliatrice di Barret si rivela fondamentale contro i nemici volanti, gli attacchi magici di Aerith sono un vero salvavita in altre situazioni. Non c’è un solo momento in cui ci si annoi a combattere in Final Fantasy VII Remake: le boss fight, in particolare, sono davvero divertenti, soprattutto — cosa piuttosto inusuale in un JRPG — quelle contro i nemici umanoidi. La difficoltà normale offre un giusto tasso di sfida, e per chi desidera mettersi ulteriormente alla prova c’è la modalità difficile, che si sblocca una volta completato il gioco.
E qui smentiamo un altro falso pregiudizio: Final Fantasy VII Remake non è corto. La longevità si aggira attorno alle quaranta ore, senza contare l’alto valore di rigiocabilità del titolo. Per la cronaca, io che sono notoriamente lenta di ore ce ne ho messe più di cinquanta.
L’unica cosa che si potrebbe criticare al gioco è forse la sua linearità, che tuttavia rispecchia fedelmente quella dell’originale. Tutta la parte ambientata a Midgar in Final Fantasy VII era fortemente story-driven, e altrettanto story-driven è questo remake. Quest secondarie, minigiochi e altri extra sono inseriti quindi in momenti precisi della storia che consentono la libertà di dedicarvisi. Una scelta che personalmente ho apprezzato, perché rispettosa della struttura originale.
Una meraviglia per gli occhi
Non mi sono ancora soffermata sul comparto tecnico di questo gioco perché credo parli da sé: Final Fantasy VII Remake riesce a lasciare tanto a bocca aperta quanto aveva fatto il suo predecessore con i suoi prodigiosi FMV nel 1997. I modelli dei personaggi sono dettagliati ed espressivi e gli ambienti letteralmente mozzafiato. Non credo di aver mai giocato un gioco più bello di questo.
Anche il comparto sonoro è eccezionale. La soundtrack include sia tracce nuove, sia versioni riarrangiate di quelle più iconiche. Se è vero che sono quest’ultime a far leva sull’emotività dei giocatori scafati come me, devo ammettere che anche i nuovi brani non sono da meno: la ending song, Hollow, e la sua versione strumentale Hollow Skies, in particolare, si sono ritagliate nel mio cuore un posto speciale. Positivissimo è anche il mio giudizio sul doppiaggio inglese: trovo che i nuovi doppiatori abbiano veramente colto l’essenza dei personaggi a cui prestano la voce, senza avere nulla da invidiare al cast della Compilation. Devo fare un piccolo appunto alla localizzazione italiana: è evidente che i sottotitoli sono stati realizzati a partire dallo script giapponese, senza tenere in considerazione quello inglese. Giocare con doppiaggio inglese e testi in italiano risulta perciò molto fastidioso per l’evidente discrepanza tra scritte e audio.
Dopo aver completato il gioco con la combinazione inglese/inglese, mi riservo di dedicare al doppiaggio giapponese la seconda run che sono in procinto di iniziare. Non ne ho ancora abbastanza di Final Fantasy VII Remake, tutt’altro! Giungere ai titoli di coda mi ha lasciato un senso di vuoto difficilmente misurabile e l’unico modo per colmarlo è rivivere quest’incredibile gioco da capo.