Eccezioni al femminile: protagoniste ed eroine del mondo JRPG

Eccezioni al femminile: protagoniste ed eroine del mondo JRPG

Un drago da uccidere, una principessa da salvare: molti dei primi videogiochi RPG si basavano proprio su questo canovaccio, ben consolidato nell’immaginario fantasy collettivo. Il topos della damsel in distress è stato sicuramente sfruttato a dovere nel corso degli anni, a partire proprio dai primi capitoli di serie destinate a diventare storiche: in Dragon Quest (1986) il protagonista deve salvare una principessa, che puntualmente si innamora di lui; una simile sorte tocca alla principessa Sarah di Final Fantasy (1987), rapita dall’antagonista Garland e prontamente tratta in salvo dal Guerriero della Luce. Nello stesso anno, in Ys I: Ancient Ys Vanished, l’avventuriero Adol Christin soccorre la bella Feena, rapita e imprigionata dal malvagio Dark Fact: sarà la capostipite di una lunga serie di damigelle in pericolo che lo spadaccino salverà (e farà innamorare) nel corso delle sue avventure.

Con il passare degli anni, la presenza femminile nei JRPG si è fatta via via più forte e, fortunatamente, variegata, sebbene quello del rapimento e conseguente salvataggio sia rimasto un tema costante: tutti gli anni ’90 e i primi anni 2000 sono costellati da eroine soggette al rapimento di rito, quasi come se quella di salvare il love interest fosse una tappa obbligata nel viaggio di formazione di tanti protagonisti maschili. A questo schema non sfuggono neppure eroine iconiche e volitive come Aerith, Garnet e Yuna della serie Final Fantasy, o anticonvenzionali come Feena di Grandia (1997). Quest’ultima ha un ruolo ben diverso dalla sua omonima della serie Ys: a differenza di tante colleghe a lei contemporanee, non è una principessa, né una maga bianca, bensì un’avventuriera veterana che, con frusta e coltelli, si dimostra da subito ben più esperta del protagonista Justin. Ciononostante, anche lei viene puntualmente rapita: a risolvere la situazione è proprio l’intervento di Justin, che, da imberbe ragazzino alle prime arme, acquista credibilità agli occhi di Feena, la quale inizia a trattarlo da pari e a sviluppare per lui sentimenti romantici.

Un classico.

È proprio in funzione dei protagonisti maschili che tante eroine sono state — e sono spesso tuttora —  declinate: sorelle, amiche di infanzia e, soprattutto, love interest. Nonostante la tematica amorosa non sempre sia pienamente sviluppata e vissuta dai personaggi, è costume consolidato quello di affiancare all’eroe una figura femminile e costruire tra i due un’interazione che vira su binari romantici di pari passo con la progressione della storia. Diversi i casi in cui le eroine in questione incarnano un ideale di femminilità volto a mitigare e compensare l’indole più impulsiva e violenta delle controparti maschili: non per niente, uno degli stereotipi più tipici della tradizione RPG è quello del guerriero affiancato dalla guaritrice. In Final Fantasy IV (1994), la maga bianca Rosa fa appello all’umanità di Cecil, cavaliere oscuro tormentato dalle azioni ingiuste e violente che ha commesso per ordine del suo re. In Shadow Hearts (2001), al tenebroso Yuri, che può fondersi con i demoni e rischia costantemente di diventarne uno, fa da contraltare l’eterea esorcista Alice, in un binomio perfetto di luce ed ombra. Anche in un titolo che fa dell’approfondimento psicologico il suo punto forte come Xenogears (1998) ritroviamo una simile contrapposizione tra maschile e femminile. L’eroina Elly Van Houten ricopre inizialmente il ruolo di tenente delle forze speciali Gebler, ma, nel corso della storia, si allontana sempre più dal mondo militare, fino a rinnegare ogni tipo di conflitto: sceglie consapevolmente di ritirarsi dal campo di battaglia, perché non può più sopportare la sofferenza portata dalla guerra, e preferisce accudire quanti stanno soffrendo a causa di essa. Nelle fasi finali del gioco, Elly assurge a vera e propria figura salvifica, personificazione di un’ideale di donna materno, pacifista e spirituale, che si contrappone nettamente all’indole distruttiva del protagonista Fei.

Nel corso di oltre un trentennio, il panorama di personaggi femminili nei JRPG si è ampliato notevolmente. Gli iniziali stereotipi sono stati messi in discussione e, in alcuni casi, addirittura sovvertiti: non più solo principesse in pericolo e maghe bianche, dunque, ma anche guerriere, mentori, leader. Eppure, nonostante oggi il genere ci offra una galleria di eroine e comprimarie assai variegata, resta un fatto oggettivo che le protagoniste femminili siano ancora in netta minoranza in confronto ai protagonisti maschili. Per quanto le donne, in ambito JRPG e videoludico, stiano guadagnando terreno con il passare degli anni, trovarne una alla guida di un’opera è ancora un fatto eccezionale. Ed è proprio su queste eccezioni rispetto alla regola che vogliamo soffermarci oggi, proponendo, in occasione della Giornata internazionale della donna, una galleria di protagoniste femminili emancipate, anticonvenzionali e memorabili.

 

Le alchimiste di Atelier

La serie Atelier è una mosca bianca all’interno del panorama JRPG. Sin dal primo capitolo, Atelier Marie: The Alchemist of Salburg (1997), ha proposto una formula ben diversa da quella tipica del genere: anziché raccontare le memorabili gesta di un gruppo di eroi intento a salvare il mondo, Atelier narra da ormai vent’anni le vicende quotidiane delle sue giovani alchimiste. Esatto, la sua eccezionalità risiede anche in questo: in un’epoca dell’oro dei JRPG dominata da freddi mercenari, giovani avventurieri e promettenti eroi, la piccola software house giapponese Gust scelse come protagonista una studentessa di diciannove anni, quella Marie destinata a diventare la prima di una lunga serie di eroine alchimiste. Ad oggi, Atelier conta diciannove capitoli principali e svariati spin-off: si tratta senza dubbio della serie di maggior successo e longevità dello studio di Nakano. Denominatore comune, oltre all’alchimia, è la presenza di una protagonista femminile indiscussa, il cui nome dà il titolo al capitolo di turno: dal già citato Atelier Marie fino all’ultimo capitolo ormai prossimo all’uscita, Atelier Lydie&Suelle: Alchemists of the Mysterious Painting, fanno eccezione soltanto la trilogia Iris e, in parte, la duologia Mana Khemia, che esulano del resto dai canoni del franchise.

Carine, ingenue, un po’ pasticcione: sarebbe facile catalogare le eroine di questa serie come meri stereotipi moe, ma sono in realtà ben più di questo. Quelle raccontate in Atelier sono vere e proprie storie di formazione al femminile: l’alchimia, sia essa un talento innato oppure una disciplina appresa con lo studio, richiede impegno, costanza e forza di volontà per venire padroneggiata. Le alchimiste della serie sono all’inizio inesperte e, nel loro percorso, non mancano gli imprevisti: una scena ricorrente nella serie è quella della sintesi fallita, con conseguente esplosione casalinga. Le protagoniste di Atelier sono quindi ben lontane dall’essere alchimiste modello e la loro strada, all’inizio, pare tutta in salita: eppure, una qualità che non manca a nessuna delle eroine della serie è la tenacia. Con forza di volontà e autoironia, le ragazze di Gust sanno sempre come ripartire dai propri fallimenti e pulirsi il viso dalla fuliggine dell’ennesima ricetta finita male. Spronate dai amici e mentori, pian piano fanno progressi nel mondo dell’alchimia: studiano (le nuove ricette non per niente vengono apprese dal giocatore leggendo libri), sperimentano, esplorano il mondo per raccogliere gli ingredienti necessari alle loro ricette e, inevitabilmente, si confrontano anche con mostri sempre più forti. In battaglia, le alchimiste sono armate di asta e hanno parametri inizialmente bassi rispetto agli altri membri del party, ma, grazie agli oggetti sintetizzati con l’alchimia, diventano il vero e proprio pilastro della squadra, tanto in attacco quanto in difesa. Per trionfare contro i boss più temibili, il giocatore deve — proprio come l’eroina del gioco — padroneggiare al meglio i segreti dell’alchimia: e, a quel punto, anche la più fragile delle ragazze si trasforma, sul campo di battaglia, in una vera macchina da guerra.

È questo il messaggio di fondo della serie Atelier: coltivata con dedizione e costanza, l’alchimia diventa per le giovani protagoniste un potente mezzo di emancipazione e realizzazione personale all’interno del loro percorso di crescita che, seppur sempre narrato con toni spensierati, non manca di ostacoli e difficoltà. Padroneggiando l’alchimia, queste giovani ragazze dall’aspetto delicato si guadagnano il rispetto di quanti le circondano, diventando spesso dei veri e propri pilastri per la società. Rorona (Atelier Rorona; The Alchemist of Arland, 2009), per esempio, da apprendista alchimista un po’ svampita e combinaguai cresce fino a diventare un punto di riferimento per tutto il regno di Arland, e si trasforma da allieva in maestra, in un passaggio di testimone tanto caro alla serie; Ayesha (Atelier Ayesha: The Alchemist of Dusk, 2012), una delle più mature tra le protagoniste della serie, diventa nel true ending del gioco una vera e propria saggia, indispensabile per la comunità; Escha (Atelier Escha&Logy: Alchemist of the Dusk Sky, 2013) riesce con l’alchimia a realizzare il sogno che coltivava sin da bambina.

È però forse il caso di Totori (Atelier Totori: The Adventurer of Arland, 2010) uno dei più emblematici: la giovane, appena tredicenne all’inizio del gioco, desidera con tutta sé stessa diventare un’avventuriera per seguire le orme della madre, scomparsa da anni. Ma partire all’avventura in un mondo irto di mostri non è un’impresa facile per una ragazzina debole e gracile: Totori non possiede la forza dell’esperta avventuriera Melvia, né è una spadaccina come l’amico Gino. Proprio per questo la sorella maggiore Ceci si oppone strenuamente alla sua scelta: grazie all’alchimia, però, Totori potrà affermare la propria indipendenza e raggiungere faticosamente l’obiettivo che si era prefissa con così tanta determinazione. Del resto, le conquiste delle alchimiste di Atelier non avvengono dall’oggi al domani: ogni gioco si svolge in un lasso di tempo che copre diversi anni, durante i quali si snodano le storie di formazione delle protagoniste.


 

Koudelka Iasant

Un altro titolo assolutamente atipico uscito nell’era PlayStation è Koudelka (1999). Nato proprio dal desiderio di Hiroki Kikuta di creare un prodotto che si differenziasse dai tipici giochi di ruolo nipponici, il gioco tiene fede alle sue premesse, proponendo qualcosa che non si era mai visto fino a quel momento. Tinte horror, ambientazione storica ed occidentale, narrazione tramite doppiaggio di altissimo livello (anche in italiano!) e combattimento a turni con un pizzico di strategia: ecco le caratteristiche principali del JRPG di Sacnoth. Alla guida di un gioco così sui generis, non poteva mancare una protagonista altrettanto eccezionale. Koudelka Iasant è una giovane zingara con poteri medianici che, nel 1898, si introduce nel monastero gallese di Nemeton, guidata da una misteriosa voce. Qui incontra presto gli altri due personaggi principali del gioco, l’avventuriero Edward ed il vescovo James, con i quali esplorerà l’inquietante monastero, tra mostri, spiriti e altri misteri.

Non è un caso che, dei membri del trio, sia proprio la giovane a dare il titolo al gioco: è Koudelka la stella indiscussa della storia, non solo per il ruolo che ricopre, ma anche e soprattutto grazie alla sua forte personalità, in grado di bucare lo schermo sin dalla sua prima apparizione. Nella sequenza iniziale del gioco, Koudelka raggiunge a cavallo il monastero della cupa Aberystwyth, si arrampica sul tetto dell’edificio e si introduce al suo interno sfondando una delle finestre. Qui incontra subito Edward, ferito e incapacitato da un mostro che, come nei migliori film horror, appare presto alle spalle di Koudelka. La ragazza reagisce sfoderando prontamente il coltello e, una volta sbalzata via, si rialza, pronta ad affrontare la creatura con la pistola di Edward: ha così inizio il primo scontro del gioco. In una solo cinematica, Koudelka ribalta completamente una serie di stilemi propri sia del genere horror, sia di quello JRPG: la biondina di turno non cade preda indifesa del mostro che l’attacca, ma lo combatte e sconfigge, riuscendo laddove la sua controparte maschile ha fallito. In questo come in ogni altro momento critico, Koudelka si dimostra, a differenza degli uomini che l’accompagnano, pienamente padrona della situazione.

Nel panorama JRPG, la sua personalità forte non ha precedenti: è arguta, sarcastica e sicura di sé, sempre un passo avanti rispetto alle controparti maschili. “Se vuoi uscire vivo di qui, stammi sempre vicino, è chiaro?”, intima la ragazza ad Edward, dopo averlo curato con i suoi poteri da medium: è la giovane la guida indiscussa del party e non a caso, nelle fasi di esplorazione, è sempre lei il personaggio controllato sullo schermo dal giocatore.

Nel Regno Unito dell’epoca vittoriana, inoltre, la ragazza è una vera outsider: è una zingara, una medium, una donna indipendente ed emancipata. Simbolo di un’alterità che rivendica con fierezza, Koudelka si dimostra tanto anticonformista quanto il gioco che porta il suo nome.


Shion Uzuki

A differenza del suo predecessore Xenogears, Xenosaga Episode I: Der Wille zur Macht (2002) ci mette nei panni di una protagonista femminile. Non si tratta dell’androide KOS-MOS, diventata icona della trilogia, bensì di Shion Uzuki, giovane ricercatrice responsabile della sua creazione. Ciò che la caratterizza in prima istanza è proprio la sua posizione lavorativa: nonostante la giovane età, Shion non solo fa parte della divisione di ricerca e sviluppo più prestigiosa del colosso industriale Vector, ma è anche a capo del progetto KOS-MOS. È un ingegnere incredibilmente capace, una mente brillante e una leader per tutto il suo team di ricerca. Chief, “capo”: così la chiamano all’interno della Third Division, a partire da Allen Ridgley, suo sottoposto con una grandissima cotta per lei. Sin dalle prime scene di Episode I, Shion offre al giocatore un ritratto quanto mai raro all’interno panorama JRPG (e non solo): quello di una donna che, grazie alla sua intelligenza, si è realizzata sul piano professionale.

Shion non è soltanto brillante, ma anche determinata e volitiva. Ha solidi principi, che sostiene con fierezza, e sa come farsi rispettare: la vediamo alzare la voce anche con i suoi superiori per far valere le sue idee e mettere in pratica ciò che ritiene giusto. Proprio il suo idealismo, però, fa sì che sia anche un personaggio profondamente contraddittorio. In lei, coesistono aspetti opposti: la razionalità di scienziata e un’empatia fuori dal comune. Shion vive la scienza e tutti i suoi prodotti con una sensibilità incredibile: per lei, creature artificiali come i Realian o la stessa KOS-MOS non sono diverse dai normali esseri umani. Il suo rapporto con l’androide è uno dei temi portanti dell’opera: Shion non vuole che KOS-MOS ragioni in base a un freddo calcolo delle probabilità, bensì che acquisisca il suo stesso senso morale. Pur avendola progettata lei stessa come arma, resta sconvolta nel vederla agire come tale.

Proprio questo paradosso contribuisce a rendere la scienziata una protagonista assai tridimensionale: in lei, la tensione tra logos e pathos innesca un profondo processo di analisi e crescita. Shion, nel cui passato si annidano spettri ancora irrisolti, si troverà nel corso della trilogia a dover rivedere completamente tutte le proprie convinzioni. Rispetto alla femminilità fin troppo idealizzata di Elly di Xenogears, la protagonista del secondo lavoro di MonolithSoft rappresenta un grandissimo passo avanti nella rappresentazione della donna. Splendidamente imperfetta e contraddittoria, e per questo incredibilmente umana, Shion Uzuki costituisce un modello di donna che più spesso bisognerebbe trovare a guida di un’opera, non solo in ambito JRPG.


 

Estelle Bright

Una storia di formazione è anche quella raccontata in The Legendo of Heroes: Trails in the Sky (2004) e nel suo sequel diretto, The Legend of Heroes: Trails in the Sky SC (2006). A dare inizio a questo percorso di Bildung c’è, come in tanti casi, un viaggio: quello dei giovani Estelle e Joshua Bright attraverso il regno di Liberl. I due adolescenti si lasciano alle spalle la rurale cittadina di Rolent per completare la loro formazione da Bracer, ossia specialisti del combattimento al servizio della popolazione. A spingerli alla partenza è anche l’improvvisa sparizione del padre, Cassius Bright, Bracer di fama internazionale e vera e propria leggenda vivente.

Penso che, per chi ha giocato a Trails in the Sky, sia impossibile pensare di dedicare un approfondimento alle protagoniste femminili dei JRPG senza menzionare Estelle. Quella creata da Nihon Falcom, infatti, è un’eroina davanti alla quale i giocatori, proprio come i personaggi che popolano il continente di Zemuria, non possono restare indifferenti. Incontriamo per la prima volta Estelle da bambina: ha undici anni, è orfana di madre e sta aspettando che il padre faccia ritorno dall’ennesima missione lontano da casa. Quando Cassius rientra e annuncia di averle portato un regalo, le sue speranze ricadono, nell’ordine, su una canna da pesca, delle scarpe da ginnastica e qualcosa di nuovo per allenarsi. Il suo disappunto nello scoprire che il padre ha portato con sé a casa il coetaneo ferito Joshua è ben espresso dal suo iconico: “Why is my present a boy?!”. È solo la prima di una serie di battute che renderanno ogni minuto trascorso in compagnia di Estelle assolutamente memorabile.

Pesca, sneakers, insetti: sono queste le passioni della ragazza, per questo bonariamente presa in giro dal fratellastro. In battaglia brandisce un bastone, ma, a differenza di tante colleghe, non lo usa per lanciare incantesimi curativi, bensì per combattere contro i nemici, mettendo in pratica le tecniche apprese dal padre. In lei, insomma, c’è ben poco della classica eroina JRPG; eppure, sarebbe altrettanto riduttivo etichettarla come maschiaccio. Estelle Bright non capovolge gli stereotipi: li abbatte del tutto. La sua caratterizzazione è così sfaccettata, umana e verosimile da farle superare ogni tipo di luogo comune e renderla ben più simile ad una persona in carne ed ossa che a un personaggio fittizio.

Estelle è, in primo luogo, una protagonista realistica, che riunisce in sé pregi e difetti. Non è — nonostante la fama del padre, che si porta dietro come un’ombra — un’eroina graziata da qualità sovrumane o poteri speciali, bensì una normale adolescente. All’inizio del gioco è impulsiva, ingenua, per molti versi immatura. Dipende da Joshua, più maturo e razionale di lei, e dalla guida degli adulti che incontra nella sua avventura, senza i quali non andrebbe lontano. Eppure, nel corso del suo viaggio, Estelle fa tesoro di ogni incontro, di ogni esperienza. Impara a mettersi in discussione e venire a patti con aspetti irrisolti della sua vita, come il peso dell’eredità paterna, la perdita della madre e la natura dei suoi stessi sentimenti per Joshua. Sul suo cammino, le difficoltà non mancano, e, nonostante la grinta e l’aria spavalda, anche lei ha dubbi, esitazioni, insicurezze. Proprio l’allontanamento del ragazzo in Trails in the Sky SC, oltre a consacrarla definitivamente come protagonista indiscussa della duologia, sarà per lei un momento di profonda crisi, che però saprà trasformare in un’occasione di grande crescita. Questo perché, dopo ogni caduta, Estelle si rialza sempre: la sua incrollabile determinazione è il suo vero asso nella manica. E così, a poco a poco, compie un incredibile percorso di maturazione, che la la trasforma, da junior Bracer inesperta ed ingenua, in una vera e propria leader.

La sua è una caratterizzazione a tutto tondo, che supera qualsivoglia connotazione di genere: il suo percorso di formazione è universale e vi si possono riconoscere uomini e donne. Seppur la sua sia anche una maturazione sentimentale, dove la scoperta dell’amore riveste un peso importante, la tematica amorosa non la vede mai subordinata alla controparte maschile; al contrario, il rapporto che si instaura tra lei e Joshua li pone esplicitamente sullo stesso piano. Proprio perché il suo percorso di crescita personale ha raggiunto l’acme, Estelle può costruire con Joshua una relazione che possa essere vissuta dai due su base paritaria.

Ironica, determinata, energica e ottimista: con la sua incredibile forza d’animo, Estelle riesce ad ispirare tanto i personaggi che la circondano quanto chi si trova al di là dello schermo. Proprio come il sole, a cui viene spesso paragonata, è capace di scaldare il cuore di chiunque faccia la sua conoscenza, giocatore compreso.


 

Velvet Crowe e Milla Maxwell

Velvet Crowe, del recente Tales of Berseria (2016), è la prima protagonista femminile assoluta all’interno di una serie di JRPG attiva dal 1995 e assai di successo, quella dei Tales Of. Velvet, però, deve molto a Milla, co-protagonista di Tales of Xillia (2011): proprio la sua grande popolarità ha infatti influenzato il team nella creazione dell’eroina di Berseria ed è perciò doveroso partire da lei.

In Tales of Xillia, il giocatore può scegliere se vivere la storia dal punto di vista del giovane studente di medicina Jude Mathis oppure da quello dell’intrepida Signora degli Spiriti Milla Maxwell. A prescindere da questa scelta, la trama del gioco porta ad assistere ad un vero e proprio ribaltamento di ruoli rispetto ai canoni: a differenza dei molti eroi che l’hanno preceduto, infatti, Jude è un ragazzo indeciso e insicuro, che si lascia trasportare dagli eventi e, soprattutto, dalla guida sicura della sua compagna d’avventura. Risoluta, autorevole, carismatica: Milla ha ideali incrollabili e una ancora più incrollabile determinazione a portare a termine la propria missione. È lei a prendere le redini del gruppo, di cui è sin da subito colonna portante. Agli occhi di Jude, Milla è prima di tutto un modello da ammirare e seguire per la sua incredibile forza di volontà, e proprio l’averla incontrata lo spingerà a crescere e trovare in sé la sicurezza che gli è sempre mancata.

Anche in Tales of Berseria assistiamo a un totale ribaltamento dei canoni: non solo perché per la prima volta abbiamo una donna alla guida indiscussa del titolo, ma anche e soprattutto perché si tratta della protagonista più antieroica della storia della serie. Velvet, dopo aver perso gli affetti più cari ed essersi trasformata in un demone, vive mossa unicamente dal suo desiderio di vendetta: questo la spinge a commettere ogni genere di atrocità senza farsi alcuno scrupolo. Liberare prigionieri pericolosi, divorare altri demoni, dare alle fiamme villaggi pieni di innocenti: la protagonista non esita ad uccidere e sporcarsi le mani, mettendo il proprio egoistico proposito vendicativo davanti a ogni altra cosa. Le sue azioni sono, per buona parte del gioco, quelle che si attribuirebbero a un cattivo, ed infatti il ruolo che ricopre è proprio quello che i giocatori reduci dal precedente Tales of Zestiria hanno imparato ad attribuire all’antagonista: quello di Lord of Calamity, o Dominus della Catastrofe nell’adattamento italiano. In entrambe le versioni, resta immutata la connotazione maschile di questo titolo, che viene attribuito in prima istanza, all’interno della mitologia dell’universo Zestiria/Berseria, proprio a Velvet. La sua violenza e la sua ferocia paiono accomunarla maggiormente a un archetipo maschile, ma declinare il personaggio solo in questa veste sarebbe assai approssimativo.

Velvet è un’antieroina complicata e sfaccettata, in cui coesistono ed entrano in conflitto lati opposti. Quando la conosciamo, prima della tragedia che la trasforma radicalmente, è una giovane ragazza amorevole e dedita alla famiglia, eppure in lei si possono già scorgere i semi della sua successiva indole tumultuosa: per i suoi affetti è pronta a tutto e si dimostra incredibilmente impulsiva. A guidarla, allora come dopo la trasformazione, sono una cosa sola: i suoi sentimenti. Lungi dall’essere un’antieroina fredda e spietata, Velvet vive sulla propria pelle la violenza delle proprie emozioni, nel bene e nel male. E in un mondo che vuole fare della fredda ragione l’unico principio valido, il Dominus della Catastrofe rivendica con forza il proprio diritto alle emozioni. Il suo è un percorso cupo e tortuoso, macchiato tanto dal sangue di chi ha perduto quanto da quello di chi ha ucciso; eppure, anche da demone, Velvet resta squisitamente umana ed è proprio questa sua umanità a renderla una protagonista quanto mai complessa, tragica ed indimenticabile. 

 

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